Le sementi autoctone e la diversità colturale.

I semi sono stati tramandati e sviluppati nel corso dei secoli da comunità di coltivatori di tutto il mondo, sono stati scambiati in modo gratuito tra le varie comunità della terra ed hanno portato allo sviluppo di nuove varietà (per ibridazione spontanea affidata al vento, alle api, agli insetti, agli uccelli, e anche all’uomo).

Le varietà di semi dei coltivatori, prodotte nel corso delle generazioni, sono chiamate landrace[1]1 perché venissero distinte da quelli creati in laboratorio.

Le landrace, ovvero le varietà dei coltivatori, costituiscono il risultato di un inestimabile lavoro intellettuale: son detti “semi nativi”, “semi organici”, i semi “cimeli di famiglia” o “semi eredità”, ed hanno il loro valore insito nel fatto che sono perenni e sostenibili.

Natura differente hanno le Hvys, High Yield Varieties, le varietà ad alta resa, selezionate sulla base di un alto rendimento, sia in termini di pianta che di frutto. La loro caratteristica di base è che rispondono incredibilmente agli input esterni quali l’irrigazione ed i fertilizzanti, e per contro sono molto soggetti alle malattie ed all’attacco degli insetti, indebolendosi al secondo o terzo raccolto, caratteristica che costringe il contadino a ricomprarli.

I semi ibridi sono semi di prima generazione ottenuti incrociando due specie originarie, geneticamente diverse. Quest’ibrido, qualora brevettato, non si può più riprodurre, operazione per la quale sarebbe necessario conoscere la sua impronta genetica, segreto industriale della società titolare del brevetto. Dunque, questa naturale caratteristica del seme ibrido è il tratto che ha determinato una rapida crescita delle multinazionali delle sementi.

 

Tre sono i produttori di sementi oggi nel mondo:

1) il singolo coltivatore e la sua famiglia, “produttore e selezionatore di varietà in grado di riprodursi in eterno”2;

2) il settore pubblico, gli istituti di ricerca dello stato che hanno creato delle varietà di semi a crescita rapida e ad elevata resa (vedi genesi del Grano Cappelli, che porta il nome del Senatore che ha voluto e finanziato le ricerche del gentista Nazareno Strampelli);

3) il settore privato, costituito da società e multinazionali, che producono ibridi non riutilizzabili, dunque non sostenibili ecologicamente. I contadini del mondo hanno iniziato a comprare le sementi che le multinazionali sementiere, in possesso del brevetto, hanno il diritto esclusivo di riprodurre, conservare e sviluppare ulteriori varietà, impedendo a chiunque altro di riprodurre, conservare e vendere il seme.

 

Questo ha determinato il passaggio da un sistema di coltivazione controllato dai contadini e dagli agricoltori, ad uno gestito dalle multinazionali del settore agrochimico e dei semi, oltre che dai centri internazionali di ricerca in campo agricolo (Shiva, 2006:43). Come conseguenza di questo cambiamento, il sistema ha trasformato la concezione dei semi, da risorsa liberamente riproducibile attraverso la coltivazione, a merce privatizzata con un costo elevato.